Borgo del Vallo di Diano, sorge ai piedi del monte Cervati e deve il suo nome al culto di San Giacomo. Fu fondato nel periodo normanno ma si è sviluppato dal XVI secolo in avanti. E’ un luogo pregno di spiritualità difatti è frequente notare edicole votive con immagini della Madonna,
Sono certamente da visitare la Chiesa Madre cinquecentesca di San Giacomo Apostolo e tra le altre, la chiesa di Nostra Signora di Costantinopoli, detta ‘Madonna dei Cerri’. Degne di nota anche la fontana Cinquecentesca e Palazzo Marone che oggi oltre a fungere da biblioteca e teatro, espone alcuni reperti preistorici ritrovati nelle Grotte dei Vallicelli e di Varlacarla.
Uscendo dal centro abitato percorrendo la ‘via dei mulini’, si entra in contatto con le bellezze naturali e incontaminate del territorio.
Uno dei piatti tipici da non perdere è “patan’ e cicci”, a base di patate di montagna e fagioli, insaporiti da varie spezie locali e dall’immancabile olio extravergine di oliva cilentano.
Quale componente lo «Stato» di Diano ne seguì in ogni tempo le sorti. Prima dei Sanseverino subì le vicende liete e tristi della potente famiglia, specialmente le ribellioni con le conseguenti avocazioni al fisco dei beni.
Quale casale di Diano nel 1506 ancora una volta i Sanseverino ebbero restituito S. Giacomo, in quell'anno dal re Cattolico. Vi è notizia che una parte del villaggio, dal 1522 al 1599, era in possesso di Scipione Seripando e della moglie Porzia. Nel 1522 un'altra parte del casale era posseduta da Pietro Tocco. Nel 1547 per donativi al principe di Salerno fu tassato, con riscossione a rate per adiuvamento di 83 denari e per creditamento di 59 denari.
Nel 1589 (Arch. Stato di Foggia, Dohana, Serie IV, n. 288) l'avvocato Terenzio Castella adì il Tribunale della «Dohana Menae Pecudum» perché condannasse Lorenzo e Porfirio della Spina, Antonio e Nicola Castella e Betlem Cofano a rilasciare terre site in Diano nelle «pertinentie del Santo Giacorno» da essi arbitrariamente occupate e di cui egli era il legittimo fittuario. Le terre erano di proprietà della chiesa parrocchiale di Sant'Angelo della città di Diano. L'avvocato presentò quali testimoni «Nobilis Paulus de Vice Comite, Don Petrus Antonius Castella» e Loise della Spina, tutti «de terra Sancti Jacobi de la Valle de Diano».
Nel 1647, sempre quale componente lo «stato» di Diano, prese parte all'opposizione del baronaggio, capeggiato dal suo feudatario, duca di Diano e Sala, Calà, contro i diritti della chiesa. Dalla relazione di mons. Tommaso Carafa alla SCV dopo la peste del 1656, si rileva che le entrate della parrocchiale ammontavano a solo 35 denari, che a S. Jacobo non vi erano preti e che le messe della parrocchiale e delle cappelle erano solo 256.
Il Pacichelli ci informa della vecchia (fuochi 91: ab. 455) e della nuova numerazione di «S. Jacono di Diano». Manca nel Galanti. L'Alfano dice dei suoi 2530 abitanti. Il Giustiniani dice poco di «San Giacomo o Santo Jacovo di Diano», come il villaggio era designato nelle numerazioni. Ubica il casale a 44 miglia da Salerno con 500 abitanti tra agricoltori e pastori. Ai suoi tempi era ancora in possesso dei duchi Calà di Diano. II Bozza scrive che il villaggio «fu accresciuto, secondo l'Albirosa, da una colonia di schiavoni venuti dal monte Gargano forse con quelli di Ruoti nel 1511».
La domenica successiva al martedì di Pentecoste
Approfondisci