CASACASTRA

Borgo scomparso senza fonti. Da Salerno circa Km. 75.

Università autonoma di cui è menzione ancora nel 1361. 
Trovasi nella vallata tra Rocca Cilento e Casigliano.

IL BORGO SCOMPARSO

IL BORGO SCOMPARSO

IL MONASTERO DEL IX SECOLO

IL PALAZZO BARONALE

IL PALAZZO BARONALE

RESTI DEL IX SECOLO

RESTI DELLA CHIESA DI SAN FABIANO IX SEC.

VECCHIA ABITAZIONE

IL PALAZZO BARONALE


Del villaggio nei cui pressi sorse il cenobio italo-greco di S. Fabiano (o Flaviano), è prima notizia da una donazione del novembre 1067. Con essa i cugini Giovanni, « filius quondam mai » e Maria, figlia di Orso, offrirono alla « ecclesia monasteri sancti fabiani, qui in casa castri esse fundata dicitur », tutti i loro beni siti in « Lucania e Cilento ». 

In seguito (marzo 1078) un certo Lando, figlio del fu Russimanno, desiderando farsi monaco donò  al medesimo monastero, « qui situm est subtus locum nucillam » tutti i beni da lui posseduti in « lucanie finibus ». Tra gli altri monasteri confermati alla Badia da Gregorio VII nel 1073 circa anche il « monasterium Sancti fabiani ». 

Nel maggio de1 1082 Giovanni, figlio di Riso di Nocella, poiché « video me ad gravissimam egritudinem et neseio si dominus michi restitueret sanitatem et modo quod habeo integram mentem », per consiglio della moglie Letizia donò al monastero di S. Fabiano tutti i suoi beni siti in Lucania eccetto la quarta della moglie e ciò che spettava ai figli.

Più interessante anche per la procedura é il verbale di un placito tenuto nell'arcivescovado di Salerno nell'ottobre del 1083. In esso è notizia di un processo alla presenza di Sigheigaita, la bella e coraggiosa moglie di Roberto il Guiscardo in cui i contendenti erano l’abate cavense Pietro da Salerno da una parte e dall’altra Boso, viceconte del Cilento, in rappresentanza dello Stato. Quest’ultimo invitò il grande abate a chiarire dove « retineret et donimaret homines pertinentes reipublice de ipso loco cilento ». L'abate segnalò sei monasteri, dipendenti dal cenobio cavense che avevano famiglie soggette, affermando con giuramento (venne prestato da « unum liberum hominem ») che tali famiglie erano vassalle della Badia prima dell’assedio di Salerno, anzi prima che Roberto « ad castram quod retunda dicitur advenisset ».

Ciò è  importante perché anticipa di molto il tempo del costituirsi dei beni della Badia nel Cilento, dato che il castello della Retonda o Rotonda pare fosse nella valle del Mingardo probabilmente, a dire dell'Acocella, l'odierno Castel Ruggiero. 

Dal verbale si apprende inoltre che il viceconte invitò il priore del cenobio cavense Pietro a leggere singolarmente i nomi degli « homines » soggetti a ogni monastero. 

Esibito lo scritto contenente detti nomi, il viceconte fece giurare a1 priore (anche stavolta il giuramento è prestato da « unum liberum hominem ») che effettivamente tutte quelle famiglie erano vassalle della Badia già prima che « supradictus dominus dux prephatam civitatem obsidendam venit cum ad ipsam Rotunda advenisset ». Apprendiamo anche delle undici famiglie soggette viventi nel villaggio di Casacastra, tutti di origine latino, greco o longobardo. 

Ricordo che tra i « monasteria » riconosciuti alla Badia nel diploma del duca Ruggiero è segnalato anche il monastero « vocabulum sancti Fabiani.».

Nel 1100 è notizia del priore del cenobio di S. Fabianie intervenuto come garante per il monastero di Cava nell'atto di concordia tra i1 vescovo Alfano di Paestum e il priore cavense monaco Giovanni « iusso domni petri venerabilis abbatis », circa i confini delle terre « ubi dicitur a lo vetrano » e a « li barbuti » nel Cilento. 

Nel 1103 Giovanni e Rolegrima di Finocchito donarono al monastero di S. Fabiano tutti i loro beni esistenti a Finocchito e altrove. Un'altra donazione di beni venne fatta alla medesima chiesa nel 1113 da Maraldo di Massacanina, « habitator de Periniana » (Prignano). Del villaggio è notizia ancora in una compra-vendita a Fiumicello fatta nel 1165 dal monastero di un terreno di Giovanni e Matteo de Maza « de casalis sancti fabiani ». 

Nell'Archivio cavense vi sono ancora sette documenti di varia natura. 

Del giugno 1258 è la concessione enfiteutica «unius molendini », sito « in casale quod dicitur la valle » fatta dal monastero a Giacomo, figlio di Lando, di Casacastra per metà del reddito annuo.

Importante per la storia locale, il fitto che il monastero cavense contrasse  col nobil uomo « Don Giacomo Genticore » nell’ aprile del 1302. 

La Badia fittò l’intero tenimento del villaggio di Casacastra con la chiesa di S. Fabiano e tutte le terre esistenti nel tenimento di S. Paolo, « ubi dicitur terre sancti Fabiani », terreno « modo sterile, dirutum, destructum et desertum propter guerram presentem diutinam cum omnibus suis vassallis » in diversi luoghi dispersi, con « juribus, redditus et pertinentiis suis » per il censo di due decine di cera e un tarì da corrispondere annualmente al priore claustrale del monastero di Cava. 

Gli altri del '300 riguardano tre concessioni enfiteutiche, il fitto dei diritti e redditi « casalis casacastri » fatta dal monastero al giudice Matteo Visconti di S. Mango per quattro once d'oro e quattro libbre di cera, ancora una concessione enfiteutica di una terra a Casacastra per un tarì. 

Il « monasterium sancti Flaviani cum cellis suis » venne riconosciuto di pertinenza della Badia nell' istrumento di restituzione di alcune terre e chiese fatto dal vescovo di Capaccio Tommaso di Santo Magno, all'abate di Cava nel 1362.

Il Ventimiglia, che pone lo scomparso villaggio tra Rocca Cilento e Casigliano anche per il toponimo Casacastra, accenna pure a un processo (ne tace la posizione archivistica) ai suoi tempi esistente nell'Archivio della R. Camera, tra il fisco e alcuni cittadini di Cilento.

Da esso si desume che a seguito della ribellione del principe di Salerno, la regia Corte ne pretese tra gli altri beni, anche alcuni siti nel territorio di Rocca, tra cui un podere di Gerolamo Capomazza in Casacastra detto « lo Manco pertinentia de lo Castello de lo Abbate.».

Il Guillaume pone il casale sotto il dominio temporale degli abati cavensi poi perduto per la nota vendita a re Ladislao.

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