Di Trentinara hanno detto tutti gli antichi scrittori che si sono occupati della Lucania e del Principato, magnificando l'imprendibile sua naturale ubicazione nel pianoro di una collina dai ripidi fianchi scoscesi.
Come ho detto altrove, riuscita vana ogni richiesta da parte di Umfredo e Guglielmo d'Altavilla di ottenere da Gisulfo II quanto aveva loro promesso per averlo rimesso sul trono salernitano, i due normanni, con le loro schiere, invasero il territorio oltre Sele, impadronendosi di Trentinara sull'omonimo colle che domina la pianura pestana e la via che, per Monteforte, porta a Magliano. Qui si giungeva specialmente attraverso l'obbligato omonimo passo di cui s'impadronirono, presidiandolo. Il passo apriva la strada dell'Alento che portava al mare e la pedemontana verso Novi. Assicuratesi queste e altre vie, i normanni occuparono tutto il territorio da Eboli a Sicignano fino al mare di Agropoli e fino a quei castelli nel territorio di S. Severino di Camerota, oggi di Centola, il cui controverso possesso fu causa della proditoria morte del valoroso Guido da Salerno, conte di Policastro e fratello del sovrano di Salerno.
Il più antico documento pervenutoci che riguarda Trentinara è del 1092. Esso mostra che l'abitato doveva essere piuttosto esteso se Gregorio di Capaccio, figlio del fu Pandolfo, conte di Capaccio e Corneto, e la moglie Maria, del fu Erberto, donarono, pro anima, alla chiesa di S. Nicola di Capaccio le chiese possedute a Trentinara. E cioè le chiese di S. Mauro, S. Giovanni e S. Silvestro, fuori Trentinara, e la chiesa di S. Maria, naturalmente con tutte le loro dipendenze.
Di una donazione all'Abbazia cavense è poi notizia nel 1120. Roberto, detto Maniaco, con la moglie Sofia donarono a Rossomanno, monaco e sacerdote dell'Abbazia, tutto ciò che era loro pervenuto in eredità da Aillo e Porfida, esistente di Trentinara. In un diploma del conte Giordano del 1137 è designato come suo fidejussore Gregorio, figlio del fu Gregorio, signore di Capaccio e Trentinara. Da un testamento del 1156, esemplare per brevità e chiarezza e importante per le persone scelte quali esecutori testamentari, si apprende «domini guilielmi de trintinaria» e del figliuolo «domnus robbertus de trintinaria». Presenza di così alti personaggi che si spiega per la posizione dell'antico castello dominante l'intera pianura pestana, e specialmente per la posizione economica e le parentele, antiche e acquisite dai signori di Trentinara, tra cui i signori di Novi. Infatti la zia di Guglielmo, Berta di Capaccio, aveva sposato Guglielmo I de Mànnia di Novi. Nel corso della malattia che lo condusse a morte, il signore di Trentinara, nel pieno delle sue facoltà mentali e di eloquio, dispose, alla presenza dei giudici Giovanni, Romualdo e Giovanni, di tutti i suoi beni mobili e immobili. Nominò, pertanto, suoi esecutori testamentari l'arcivescovo Romualdo di Salerno, il vescovo Celso, l'abate Marino di Cava, il suocero Alfano di Castellammare della Bruca (Velia), Real Camerario, Gualtiero detto Boccafolle e Guido di Campora. Lasciò così alla moglie Lolegrima, figlia del predetto Camerario Alfano, la terza parte di tutti i suoi beni mobili e immobili, ovunque ubicati, e il più prestigioso dono che un cavaliere antico poteva offrire alla sua donna, il suo cavallo migliore con tutte le sue armi. Delle altre due parti in beni mobili, previa restituzione ai creditori di quanto era loro dovuto, Roberto dispose di assegnare 200 tarì all'arcivescovo salernitano, altri 200 al monastero di S. Benedetto di Salerno, e 500 tarì al vescovo pestano, distribuendo le rimanenti somme in denaro.
Nel 1185 Gisulfo di Castellammare della Bruca (Velia) figlio del Real Camerario Alfano, confermò all'Abbazia cavense tutta la proprietà ad essa donata da Roberto di Trentinara e Giordano di Corneto. La conferma si riferisce al villaggio di Terricelle che Roberto aveva donato all'Abbazia. Nello stesso anno, il 1185, è notizia di «Marinus domini castri trintinaria».
Nel Catalogus baronum è notizia di Guido di Trentinara possessore di tre villani per il quale l'aumento della quota di partecipazione alle crociate comportava di approntare un milite per la grande spedizione. Nel 1247 papa Innocenzo IV scrisse all'abate di Cava di procurare l'assegnazione di due feudi nella Valle del Crati o in Calabria «dilecto filio Riccardo de Trentinaria», il cui padre era stato spogliato dei suoi beni dall'imperatore (ederico) e che viveva esule e in angustie economiche con il proprio fratello.
F. Campanile afferma che re Carlo I aveva remunerato le particolari qualità di Guido d'Alemagna, signore di Castelnuovo (Cilento), donandogli oltre Castelnuovo, i feudi di Senerchia, Lucullano, Trentinara e Campagna. Guido, però, dovette essere signore di Trentinara per un breve periodo (1267-1268) se i Registri mostrano un ininterrotto succedersi di locali feudatari. A partire dallo stesso Riccardo della lettera di papa Innocenzo. Per la spedizione in Romagna, infatti, Riccardo di Trentinara dovette approntare due militi. Del fratello Corrado e dei suoi beni, come della sua inclusione tra i feudatari immediatamente soggetti al principe Carlo, nominato principe di Salerno, è detto in altri Registri. È notizia poi che sia Riccardo che Corrado e un altro fratello, Letterio, erano stati imprigionati quali ribelli, nel castello di Capaccio. Se ne apprende da un ordine del re a quel castellano di far condurre alla sua presenza i ribelli, mentre da un ordine allo stratigoto di Salerno si apprende dell'assegnazione dei loro beni a Ugo di Susa, eccetto quelli di un quarto fratello, Guglielmotto di Trentinara, «qui occubuit in prelio Beneventi». Di un altro milite di Trentinara, Filippo, signore di Guardia Alfieri, è menzione perché aveva occupato anche la metà del predetto feudo che era della Regia Curia e per l'assenso reale al matrimonio del figlio Raone. Il nuovo feudatario di Trentinara, Ugo di Susa, sottrasse degli animali ai fratelli Pietro, presbitero, Nicola, notaio; il re ne ordinò la restituzione. Dopo la morte di costui, senza eredi, i suoi feudi di Lucullano, Senerchia e Trentinara furono avocati alla Regia Curia. Detti feudi vennero poi concessi dal re a Giacomo di Brusone, al quale dovevano essere consegnati. Il 7 dicembre 1269 re Carlo ordinò all'ex stratigoto di Salerno, Guglielmo Guarna, di restituire ai fratelli Riccardo, Corrado e Letterio di Trentinara, sette moggia di frumento e un bufalo domato, questi beni erano stati sequestrati ai suddetti e rimasti presso il Guarna.
Nei Registri è notizia pure dell'occultamento di 25 fuochi, per cui l'ordine di recupero di 6 once e 8 tarì e mezzo. Del 1291 è l'ordine al giustiziere del Principato di esonerare dalle tasse i paesi della Valle del Tanagro e delle coste tirreniche che avevano subito danni dalle incursioni nemiche. Tra essi Trentinara.
Successivamente troviamo Trentinara concessa a Tommaso Scillato di Salerno,o meglio, quella parte di Trentinara di proprietà della Curia che Giacomo di Brusone aveva cambiato per l'annua rendita di 24 once. Intanto il villaggio era rimasto privo di abitanti che erano fuggiti tra i monti ed è probabilmente per questo che il re concesse l'esenzione dalle tasse sperando di invogliare la popolazione ad abitare nuovamente il villaggio. In seguito il re, tenuto presente che lo stato di disagio permaneva, anche dopo il passaggio feudale e che ogni coltura era stata abbandonata dalla popolazione riparata tra i monti, ordinò di versare anche a Tommaso Scillato la rendita annua di 24 once d'oro, a partire dal mese di agosto.
Della ribellione di Trentinara si apprende da una lettera del 27 ottobre 1384 della regina Margherita, vicaria di Carlo III di Durazzo (1382-1385) recatosi in Ungheria, dove poi fu ucciso (a. 1386). Nella speranza di veder ripristinata la pace nel Regno, la regina condonò le colpe e restituì agli abitanti, che avevano offeso la maestà regia con eccessi di ogni tipo, purché fossero pentiti, i beni confiscati di Capaccio, Agropoli e Trentinara. Dal manoscritto del Mandelli si apprende che la regina Margherita aveva donato il feudo a Francesco Colella di Trentinara.
Dal Registro (1423) si apprende che la famiglia del Giudice, oltre Roccadaspide, possedeva anche Trentinara.
Il Volpi riporta dal Tutini che Americo Sanseverino «comes Capuatii», già nel 1433, possedeva, oltre Capaccio, Trentinara e altri 16 feudi nella regione. Dall'acquisto del feudo di Montesano da parte di Susanna Caracciolo, madre di Artalo di Cardona, marchesa di Polisano, si apprende che per poter depositare i 25.000 ducati occorrenti per l'acquisto, dovette riscuotere 4000 ducati da Giovanni Gomez al quale aveva venduto la baronia di Trentinara. F. Campanile ci conferma poi che Berardino Rota, oltre che signore di Trentinara lo era anche di Prato; a lui successe Antonio.
Nel 1601, però, è notizia che il marchese Arcello avesse venduto Trentinara e casali (Giungano e Comingenti) ad Antonio Caracciolo per d. 28.000. Marino Caracciolo, però, alienò Trentinara con il casale di Giungano e i feudi rustici di Spennazzo, Reibaldo, Volpe, delli Mercati e altri per d. 23.000 a Marcantonio Morra. Nel 1626 Caterina Elena di Morra vendette Trentinara con altri casali a Pirro Minaddois, conte di Potenza, per d. 32.000. Il feudo passò poi alla famiglia de Angelis che viveva a Sorrento.
Il titolo di marchese di Trentinara fu concesso il 4 marzo 1710 a Leone de Angelis, patrizio di Trani (21 luglio 1739), cui successe Carlo Maria (31 agosto 1742), il quale, con il figliuolo e successore Gaetano, fu ascritto al Registro delle Piazze Chiuse. Da Gaetano passò a Giuseppe (Napoli, 28 luglio 1809, 11 gennaio 1904) al quale, in mancanza di eredi maschi, successe la primogenita Maria Giuseppa (Napoli, 17 dicembre 1841), consorte del nobile Ernesto di Goyzneta, dei marchesi di Taverna, la quale, previo favorevole parere della Commissione Araldica Napoletana e della Consulta Araldica del Regno, ottenne il riconoscimento legale quale marchesa di Trentinara (Regie Lettere Patenti, 26 agosto 1906) e così ascritta al Libro d'Oro e all'Elenco della Regione. I de Angelis di Trentinara hanno fondate pretese al titolo di duca sul cognome.
Di Trentinara scrisse l'abate Pacichelli che l'ubicò «in faccia al Mare sovra Capaccio, e su le cime di Aspromonte, discosta sei miglia dalle ruine di Pantoliano [...] con le dipendenze de' casali di Giungano e Comingenti». Anche il Gatta ne dice «per la fortezza del sito e per le vaghe prospettive, che dalle di lei eminenti Vette si scoprono [...] le Maritime spiagge Pestane che le di loro famose isole di Leucosia e Sirenuse tanto celebrate da' Poeti». Ne è ricordo pure nell'Antonini, il quale riporta i versi del Rota.
Il Giustiniani segnala che nei documenti il villaggio è sempre nominato. Egli lo colloca su un monte da alcuni chiamato Catena, a 38 miglia da Salerno. Riprende poi dal Mannelli (Mandelli) che era una città con i casali di Giungano e Convingenti e con un migliaio di abitanti, tutti agricoltori e pastori. Il Galanti riporta 948 abitanti, l'Alfano 980, il Bozza 1638. Dal Giustiniani si apprende anche della popolazione dal 1532 al 1669.
LATITUDINE: 40.4010037
LONGITUDINE: 15.11513930000001
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