CARDILE

Cardelo, Cardillo, Cardili (li Cardili, forma dialettale), Cardile, da carduclis, cardellino. Università autonoma fino alla sua aggregazione a Gioi (7 km), di cui è frazione. Da Salerno 91 km.

Frazione del comune di Gioi Cilento, immersa nel Parco del Cilento.
Legata a San Giovanni Battista a cui ha dedicato la parrocchia e la Chiesa.
Interessante è il sentiero che collega Gioi e Cardile, lungo il quale si possono ammirare boschi di ontano napoletano, querceti, castagneti e dolci pascoli estivi. E’ un percorso naturalistico che può effettuarsi a piedi, a cavallo o in mountain bike con molte aree fruibili ai diversamente abili.
Il nome di Cardile deriverebbe dal cardo, un antico arnese impiegato nella lavorazione del lino, attività in passato molto fiorente e redditizia per i suoi abitanti. Oggi il territorio vive di un’economia agricola e si distingue per la coltivazione dell’ulivo, del castagno e del grano. Notevole anche la produzione del caciocavallo con latte di vacche podaliche a cui viene aggiunto nel corso della lavorazione caglio di capretto o di vitello, la soppressata ricavata da carne suina di prima scelta lavorata a mano a punta di coltello e la produzione del fico bianco del Cilento.
In occasione delle festività natalizie, il centro di Cardile viene riprodotto in miniatura e trasformato in un presepe che racconta  usi e tradizioni del borgo cilentano.

VEDUTA DEL BORGO

SCORCIO DEL BORGO

SCORCIO DEL CENTRO STORICO

SCORCIO DEL BORGO

CHIESA DI SAN GIOVANNI BATTISTA

CASA DEI FRATELLI RICCI PATRIOTI


Cardelo, Cardillo, Cardili (li Cardili, forma dialettale), Cardile, da carduclis, cardellino. Università autonoma fino alla sua aggregazione a Gioi (7 km), di cui è frazione.
Da Salerno 91 km.

Su una montagna tra Gioi e Cardile, tra l’VIII e il X secolo, venne probabilmente costruita una laura basiliana ad opera di monaci italo-greci. Ancora oggi la zona è chiamata, “la Laura”, in riferimento proprio all’antico villaggio. “La Laura” (dal greco laura, quartiere) era solitamente un luogo ameno su cui i monaci costruivano delle capanne di legno, dove si appartavano dal mondo, rifugiandosi nella preghiera e nella meditazione.

Verso la metà del XVI secolo alcuni casali, tra cui quello di Teano e Casalicchio vennero abbandonati e scomparvero del tutto a causa delle scorribande compiute da Barbarossa, capo dei Saraceni, che dai lidi tirreni si spostava con rapace violenza verso le zone interne del Cilento. Si suppone che proprio gli abitanti di questi casali, costretti a riparare altrove, costruirono un nuovo nucleo abitativo: Cardile.

Nel 1552 la Baronia si frantumò in tanti piccoli feudi governati dai baroni, i quali vantavano diritti illimitati sulla popolazione. Anche a Cardile i baroni Siniscalchi fecero valere sulla popolazione i cosiddetti iura francorum, tra i quali il diritto di prima notte abolito poi per mano di un antenato della famiglia D’Elia con l’uccisione del barone.

Il Seicento fu caratterizzato da maggiori oneri a carico dei contadini, costretti a lavorare in condizioni disumane a servizio dei signori locali e a pagare tasse di ogni genere. In aggiunta, gravava su di loro anche il tempo inclemente: numerose furono infatti le carestie determinate da inverni rigidi ed estati piovose. Alle carestie si aggiunse poi la peste del 1656. La popolazione venne ulteriormente decimata: Cardile ebbe un numero di vittime inferiori alla media; infatti la popolazione, che nel 1648 era composta da 51 fuochi (circa 357 abitanti), dopo il 1656 passò a 30 fuochi (circa 210 abitanti), mentre nella vicina Gioi, gli abitanti si ridussero di oltre due terzi. Di qui la forte devozione dei Cardilesi a S. Rocco, protettore degli appestati.

Si racconta che in passato, in località “Visciglina”, vennero alla luce delle strutture tombali costruite dagli appestati stessi, i quali, al fine di non restare insepolti, ai primi sintomi del male, si adagiavano in tali strutture in attesa della morte. La carestia, la peste, i soprusi dei signorotti gettarono nello sconforto il popolo cilentano che, avendo smarrito i valori della fede cristiana, finì per accettare ogni forma di superstizione e di riti magici come toccasana ai propri mali. Nacquero così nella tradizione popolare cardilese le figure della fattucchiera e della “ianara” (strega) che svolgevano i loro rituali in un luogo, nei pressi di Cardile, che tutt’oggi conserva il nome di Ianara.

La pressione fiscale e feudale, agli inizi del 700, divenne intollerabile a tal punto che tra feudatari e Università si aprirono controversie e liti al fine di garantire al popolo i pochi diritti di cui era titolare. Nel 1720, dinanzi alla corte baronale del casale di Cardile, numerosi cittadini rivendicarono il diritto agli usi civici sulle foreste dette la “Visciglina” e “Li Spagari” nei confronti dei Baroni di Cardile, possidenti usurpatori.

Solo nel 1754, a causa delle pessime condizioni economiche in cui versava il Regno, venne redatto a Cardile, come in altri paesi del Cilento, il catasto onciario in modo da ripartire con equità il peso di tasse, gabelle ed altri dazi imposti.

Finalmente il Cilento sembrò rinascere sotto il governo francese (1808-1815) che abolì la feudalità operando una serie di riforme, tra cui l’accorpamento delle Università per ragioni economiche e geografiche. Cardile perse la sua autonomia e venne unita a Gioi.
Cardile seguì le sorti di Gioi, ma i decreti vescovili del 1698 e del 1714 informano del locale feudatario, Francesco Cattani Siniscalchi. Questa famiglia continuò ad essere feudataria di Cardile nel ‘700, mentre nel 1803-1804 le intestazioni feudali vengono riferite a Maria Giuseppe Ciardulli.

Con il ritorno dei Borbone nel 1815 si aprì un periodo di rivolte nel Cilento: nel 1820 la Carboneria, nelle cui fila erano iscritti anche Davide, Alessandro e Licurgo Riccio di Cardile, riuscì ad ottenere il riconoscimento della Costituzione. Nel 1828 un’altra rivolta organizzata dall’associazione dei filadelfi fu repressa nel sangue dalla dinastia borbonica. Così le teste di Alessandro e Davide Riccio, recise dai corpi, vennero rinchiuse in gabbie di ferro ed esposte nella piazza di Cardile come pubblico monito. Il nome di Cardile doveva ancora una volta entrare nella storia con la rivolta del 1848, capeggiata da Costabile Carducci, che vide come cospiratore del governo borbonico Catone Riccio, figlio di Davide, che, rinchiuso in carcere, venne liberato pochi anni prima dell’Unità d’Italia.

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